La separazione con addebito: presupposti, conseguenze e casistica

L’addebito comporta la perdita del diritto al mantenimento e dei diritti successori

Quando i coniugi si separano, capita che uno attribuisca all’altro la colpa della rottura del matrimonio, in altre parole, gli “addebita” la separazione. In tal caso, il coniuge si rivolge al giudice per chiedere la pronuncia di addebito, che può avvenire solo allorché sia accertata la sussistenza della violazione dei doveri coniugali (come quello di fedeltà) e venga dimostrato che la crisi sia nata proprio a causa di tale lesione (ad esempio, il rapporto è naufragato per via del tradimento).

La casistica è quantomai varia: dal marito che cerca avventure sui siti di incontri, ai messaggi compromettenti trovati sul cellulare della moglie, alle eccesive ingerenze della suocera.

L’addebito è pronunciato in tutti i casi in cui la violazione degli obblighi coniugali sia stata causa della crisi matrimoniale. La sentenza di separazione con addebito comporta delle conseguenze patrimoniali, infatti, l’addebito ha natura sanzionatoria. Il coniuge perde il diritto di percepire l’assegno di mantenimento e perde, altresì, i diritti successori. Tuttavia, la legge mantiene alcune tutele, come il diritto agli alimenti, da corrispondere solo in caso di bisogno. Inoltre, se la lesione dei doveri nascenti dal matrimonio è così grave da violare principi costituzionalmente protetti, il partner può chiedere anche il risarcimento del danno da illecito endofamiliare.

Nella presente guida, ci si sofferma sui presupposti della dichiarazione di addebito, sulle conseguenze e sugli altri aspetti ad esso inerenti.

  1. Premessa: la separazione consensuale e giudiziale

    La separazione tra i coniugi può essere consensuale o giudiziale.

    I coniugi scelgono la separazione consensuale, quando raggiungono un accordo sui rapporti personali e patrimoniali. Ad esempio, sono liberi di determinare la misura dell’assegno di mantenimento e le modalità di visita alla prole; in tale circostanza, il giudice si limita ad omologare l’accordo.

    I coniugi ricorrono alla separazione giudiziale, quando non hanno trovato una soluzione concordata e si rivolgono al giudice per regolare i rapporti personali e patrimoniali. Come vedremo, la pronuncia di addebito interessa solo questa forma di separazione.

  2. Che cos’è la separazione con addebito?

    Un coniuge chiede l’addebito della separazione all’altro quando lo ritiene responsabile della violazione dei doveri derivanti dal matrimonio. In buona sostanza, gli attribuisce la colpa del fallimento dell’unione. Non a caso, in passato, si parlava proprio di separazione per colpa.

    L’esempio classico è rappresentato dal tradimento che provoca la crisi coniugale e porta le parti alla separazione. Infatti, il coniuge tradito non sopporta più di vivere con l’altro (intollerabilità della convivenza) o i continui litigi vanno a nocumento dei figli (pregiudizio alla prole).

    Ricordiamo che la separazione (art. 151 c. 1 c.c.) postula una crisi coniugale che:
    – renda intollerabile la prosecuzione della convivenza,
    – oppure rechi pregiudizio all’educazione della prole.

  3. Riferimenti normativi

    Le norme in materia di addebito si trovano nel Codice civile.

    L’art. 151 c. 2 c.c. dispone che “il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”.

    L’art. 156 c.c. prevede che il giudice stabilisca un assegno di mantenimento a favore del coniuge a cui non sia addebitabile la separazione. Pertanto, il coniuge a cui sia addebitata la separazione non ha diritto all’assegno di mantenimento.

    L’art. 548 c.c. stabilisce che il coniuge a cui sia stata addebita la separazione perda i diritti successori che, invece, spettano al coniuge separato senza addebito. Il coniuge destinatario dell’addebito ha diritto ad un assegno vitalizio a carico dell’eredità qualora, al momento dell’apertura della successione, fosse destinatario degli alimenti da parte del coniuge deceduto (art. 433 c.c.)

    Negli anni, in materia di addebito, è intervenuta una copiosa giurisprudenza che ha “integrato” la scarna disciplina normativa.

  4. La funzione dell’addebito

    L’addebito ha una funzione sanzionatoria. Infatti, come vedremo, le conseguenze della pronuncia hanno natura patrimoniale e punitiva, in quanto il coniuge a cui è addebitata la separazione perde il diritto all’assegno di mantenimento e i diritti successori

  5. I presupposti per la dichiarazione di addebito

    L’art. 151 c. 2 c.c. prevede che il giudice possa addebitare la separazione:
    – quando ne ricorrano le circostanze,
    – quando ne sia fatta richiesta.

    In merito alle “circostanze” menzionate dalla norma, ai fini dell’addebitabilità della separazione, occorre che vi sia:
    – la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio,
    – il nesso causale tra la violazione e la crisi coniugale che ha condotto all’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

    Torniamo all’esempio scolastico del tradimento.
    Il giudice pronuncia l’addebito quando l’infedeltà (violazione di un dovere coniugale) sia stata la causa scatenante della crisi (nesso causale). Infatti, se il tradimento è intervenuto quando marito e moglie non avevano più rapporti, manca la prova del nesso eziologico tra la relazione extraconiugale e la rottura dell’unione: senza tale presupposto, non è possibile l’addebito.

    Inoltre, la pronuncia di addebito è:
    – eventuale,
    – subordinata all’istanza di parte.

    In altre parole, il giudice non può pronunciarla se il coniuge non ne abbia fatto espressa richiesta.

  6. È possibile addebitare la separazione ad entrambi i coniugi?

    La risposta è affermativa, si parla, a tal proposito, di doppio addebito.

    Come abbiamo visto, il giudice emette una pronuncia di addebito solo in caso di espressa richiesta. Può accadere che ambedue i coniugi domandino reciprocamente l’addebitabilità della separazione l’uno all’altro. Ad esempio:
    – la moglie accusa il marito di averla tradita e lui le rivolge la medesima accusa;
    – la moglie chiede l’addebito al marito per la sua condotta violenta e lui lo chiede a carico della moglie per la relazione extraconiugale.

    Il giudice può addebitare la separazione ad entrambi se ritiene che tutti e due i coniugi abbiano contribuito a rendere intollerabile la separazione. Non è ammessa una graduazione tra la gravità delle due condotte.

  7. I coniugi possono accordarsi per stabilire a chi addebitare la separazione?

    I coniugi non possono accordarsi sull’attribuzione dell’addebito, ogni accordo in tal senso è nullo, poiché si tratta di diritti indisponibili. Infatti, l’addebito non può essere chiesto:
    – nella separazione consensuale,
    – nella procedura di negoziazione assistita,
    – nella separazione davanti al sindaco.

  8. La violazione dei doveri nascenti dal matrimonio

    La violazione dei doveri nascenti dal matrimonio costituisce uno dei presupposti per la pronuncia di addebito. Naturalmente, il coniuge che fa istanza in tal senso deve provare la lesione dei doveri coniugali indicati dall’art. 143 c. 2 c.c. ossia:
    – l’obbligo reciproco alla fedeltà (il tradimento è la sua violazione più tipica),
    – l’obbligo all’assistenza morale e materiale (ad esempio, l’abbandono del coniuge malato),
    – l’obbligo alla collaborazione nell’interesse della famiglia (ad esempio, il disinteresse del coniuge verso l’altro),
    – l’obbligo alla coabitazione (l’abbandono della casa coniugale).

    Oltre ai doveri coniugali suesposti, può chiedersi l’addebito anche per la violazione dei diritti costituzionalmente protetti, come la violazione del diritto di libertà religiosa o la violazione del principio di dignità. Si ricorda che l’art. 29 Cost. postula l’uguaglianza morale e giuridica tra i coniugi.
  9. Il tradimento non comporta automaticamente l’addebito

    In linea generale, la relazione extraconiugale rappresenta l’esempio tipico che conduce all’addebito. Nondimeno, non bisogna ritenere che l’infedeltà determini automaticamente l’addebitabilità della separazione. Infatti, come abbiamo visto, tra i presupposti è previsto anche il nesso causale. Quindi, il tradimento comporta l’addebito solo se è eziologicamente connesso alla crisi coniugale.

    In altre parole, per ottenere l’addebito, occorre dimostrare che, senza l’infedeltà, il matrimonio non si sarebbe sciolto

    Invece, nel caso in cui la crisi coniugale sia anteriore al tradimento, il giudice potrebbe non pronunciare l’addebito. Infatti, il tradimento deve essere la causa della crisi e non una sua conseguenza. Ad esempio, non comporta l’addebito “l’esistenza di una relazione extraconiugale del marito, ma in un periodo in cui i due coniugi non convivevano più da tempo e in cui, quindi, la crisi del matrimonio si era già manifestata, tanto da condurre alla cessazione della convivenza” (Cass. 21859/2017; Cass. 8675/2013).

    A tal proposito, non rileva che la relazione estranea al matrimonio sia occasionale o stabile, la condizione per l’addebito è che sia la causa della fine dell’unione. Ad esempio, è stata addebitata la separazione al marito che aveva tradito una volta sola la moglie, ma aveva consumato il rapporto nella casa coniugale.

  10. L’infedeltà apparente può costituire causa di addebito

    La giurisprudenza ha ammesso tra le cause di addebito anche alcuni comportamenti considerati lesivi della dignità del consorte, benché non adulterini. Un caso emblematico è rappresentato dall’infedeltà apparente. Infatti, l’obbligo di fedeltà non consiste solo nell’astenersi da relazioni extraconiugali, ma anche nel non tradire la fiducia reciproca. Di seguito, una breve casistica.

    Ad esempio, il caso in cui la moglie finga il tradimento con il dichiarato scopo di ferire il marito. Infatti, la mera apparenza dell’infedeltà non è meno grave di quella effettiva, stante la lesione della dignità del compagno e l’aver compromesso la reciproca fiducia (Cass. 25337/2015).

    Un altro caso classico è quello consistente nell’avere un atteggiamento in pubblico tale da far pensare al tradimento anche se, poi, non viene consumato. Ad esempio, il marito che fa effusioni esplicite ad un’altra donna in un locale pubblico, in tal modo ledendo la dignità della moglie (Cass. 9472/1999). O, ancora, il caso in cui il coniuge faccia credere a terzi l’esistenza di una relazione extraconiugale, invece inesistente (Cass. 29249/2008).

    Un’ipotesi ricorrente, nei tempi moderni, consiste nella ricerca di relazioni sui siti web di appuntamenti; una simile condotta compromette la fiducia tra i coniugi e può provocare la crisi matrimoniale (Cass. Ord. 9384/2018).

    Un caso recentemente balzato alle cronache è quello di un marito che, sullo stato di Facebook, si era dichiarato single pur essendo sposato, il giudice gli ha addebitato la separazione, anche per altre ragioni, ma attribuendo particolare rilevanza a tale aspetto. Infatti, ai fini dell’addebito, non rilevano solo le relazioni adulterine, ma anche le condotte univocamente indirizzate al tradimento che, da sole, comportino la lesione della dignità e dell’onore dell’altro coniuge. Secondo il giudicante: “Le indicazioni contenute sul profilo […] pur non essendo, ovviamente, prova di un rapporto extraconiugale costituiscono, tuttavia, un atteggiamento lesivo della dignità del partner proprio nella misura in cui, pubblicamente e sin troppo palesemente, rappresentano ai terzi estranei un modo di essere o uno stato d’animo incompatibile con il rapporto di coniugio” (Trib. Palmi 6/2021).

    Può costituire fonte di addebito la presenza di messaggi d’amore sul cellulare del coniuge, quando la violazione dell’obbligo di fedeltà sia stata causa della crisi coniugale (Cass. 5510/2017).

  11. L’abbandono del tetto coniugale

    Oltre alla lesione del dovere di fedeltà, può verificarsi la violazione del dovere di coabitazione. L’art. 143 c. 2 c.c. lo indica come obbligo e l’art. 144 c.c. dispone che i coniugi debbano concordare l’indirizzo della vita familiare e fissare la residenza della famiglia, secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. Il dovere di coabitazione si intende violato quando uno dei due abbandona la casa coniugale senza giusta causa e rifiuta di tornarvi. Ad esempio, la separazione è addebitabile al marito che, mesi prima del ricorso per separazione, abbia lasciato la casa, senza motivazione (Cass. Ord. 14841/2015).

    Viceversa, non può aversi addebito nell’ipotesi in cui l’allontanamento sia giustificato, ad esempio: sia una conseguenza della proposizione della domanda di separazione, allorché sussista una crisi coniugale che renda intollerabile la prosecuzione della convivenza.

    Ad esempio, l’abbandono della casa coniugale non costituisce motivo di addebito:
    – quando l’allontanamento del marito sia causato dalla circostanza che la moglie non voglia più avere rapporti sessuali con lui (Cass. Ord. 2539/2014),
    – quando l’allontanamento della moglie sia provocato dalle ingerenze della suocera nella vita della coppia, tali da determinare una crisi del rapporto coniugale (Cass. Ord. 4540/2011).

  12. Violazione del dovere di assistenza morale e materiale

    I coniugi devono aiutarsi e supportarsi, la lesione del dovere di assistenza morale e materiale può comportare l’addebito. Si pensi al marito che sottopone la moglie a vessazioni o la condotta della moglie che opprime reiteratamente il marito (mobbing familiare) o, ancora, si ponga mente alle ipotesi più gravi come i comportamenti violenti o aggressivi.

    Un esempio classico di violazione del succitato dovere consiste nel rifiuto di avere affettività o intrattenere rapporti sessuali con il partner per un lungo periodo. Infatti, “il rifiuto della moglie, reiterato nel tempo, di avere rapporti sessuali con il marito, qualora sia effetto di una repulsione personale nonché fonte di umiliazione e offesa alla dignità dello stesso, costituisce causa di addebito della separazione”. (Cass. 19112/2012).

    È motivo di addebito il comportamento del marito che rifiuti di curare la moglie malata o viceversa (Cass. Ord. 21576/2018).

    Diversa dalla malattia è la dipendenza da alcool o droghe. Non sempre il coniuge affetto da tale dipendenza può considerarsi “responsabile” della crisi dell’unione. Ad esempio, la separazione non è addebitabile alla moglie che non voglia disintossicarsi, se il marito era a conoscenza dei problemi di alcolismo della consorte prima di sposarla; in tal caso, “le difficoltà successive non possono essere sicuramente poste a fondamento della pronuncia di addebito”. (Cass. 28228/2013).

  13. Il nesso causale tra violazione e crisi coniugale

    La violazione degli obblighi coniugali, da sola, non basta a fondare una pronuncia di addebito. Occorre dimostrare che il comportamento del partner sia stata la causa scatenante della crisi della coppia e non la conseguenza di una crisi già in atto. In altre parole, è necessario provare l’efficienza causale del comportamento del coniuge nella rottura del rapporto. Quindi, se il rapporto della coppia è già compromesso anche prima della violazione, non può pronunciarsi l’addebito. Ad esempio, le ripetute infedeltà non sono sufficienti a giustificare l’addebito allorché siano consumate in un contesto di disgregazione della comunione spirituale a materiale dei coniugi (Cass. 9074/2011).

  14. Che cosa comporta la pronuncia di addebito?

    La pronuncia di addebito determina delle conseguenze di carattere patrimoniale. Si tratta di conseguenze sanzionatorie per la condotta tenuta.

    Infatti, il coniuge a cui sia addebitata la separazione subisce:
    – la perdita del diritto all’assegno di mantenimento (art. 156 c. 1 c.c.),
    – la perdita dei diritti successori (art. 548 c. 2 c.c.).

    L’addebito non elimina il dovere di versare gli alimenti, in caso di bisogno, ai sensi dell’art. 433 c.c. Inoltre, il coniuge a cui sia addebitata la separazione conserva il diritto a percepire un assegno vitalizio a carico dell’eredità, qualora godesse degli alimenti al momento dell’apertura della successione (art. 548 c. 2 c.c.). Si precisa che i diritti successori si perdono con il divorzio, a prescindere dall’addebito della separazione.

    Il coniuge a cui è stata addebitata la separazione conserva il diritto alla pensione di reversibilità a prescindere dalla circostanza che godesse (o meno) di un assegno alimentare a carico del coniuge deceduto. Infatti, secondo la giurisprudenza (Cass. 7464/2019), l’unico presupposto richiesto dalla legge consiste nell’esistenza di un rapporto coniugale con il coniuge defunto. Sul punto, era già intervenuta la Corte Costituzionale (sent. 286/1987) affermando che “va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte”.

    Per completezza espositiva, si ricorda che gli alimenti (o assegno alimentare) vengono corrisposti su ordine del giudice ad un soggetto che si trovi in stato di bisogno (cosiddetto alimentando) e sia incapace di provvedere al proprio sostentamento. L’importo dell’assegno non può superare quanto sia necessario per la vita del soggetto bisognoso. Inoltre, il soggetto obbligato a versare gli alimenti può scegliere di accogliere il beneficiario nella propria abitazione, anziché corrispondergli l’assegno.

    Una conseguenza processuale dell’addebito consiste nella condanna al pagamento delle spese legali (paragrafo 17).

    Infine, il coniuge a cui non è addebitata la separazione può chiedere il risarcimento dei danni subiti per la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio. Infatti, tali lesioni possono essere fonte di una responsabilità extracontrattuale (paragrafo 20)

  15. Quando si può chiedere la separazione con addebito?

    L’addebito può essere chiesto solo in sede di separazione giudiziale. Tale richiesta non è ammissibile in una separazione consensuale, atteso che le parti non possono concordemente decidere a chi addebitare la crisi; un simile patto è nullo, giacché riguarda diritti indisponibili.

    Ciò premesso, la domanda di addebito può essere proposta:

    – nel ricorso introduttivo, dal coniuge che chiede la separazione, e sino alla memoria integrativa (ricorrente),
    – in via riconvenzionale, dal coniuge convenuto in giudizio (resistente).

    Il coniuge ricorrente può chiedere, per la prima volta, la domanda di addebito nella memoria integrativa (art. 709 c. 3 c.p.c.), in quanto il giudizio di separazione ha una natura bifasica (presidenziale e contenziosa). La Cassazione ha affermato che:

    “In materia di separazione personale tra coniugi, la domanda di addebito della separazione può essere introdotta per la prima volta con la memoria integrativa di cui all’art. 709 c.p.c., comma 3, in ragione della natura bifasica del giudizio in cui alla finalità conciliativa propria del momento che trova svolgimento davanti al presidente del tribunale segue, nell’infruttuosità della prima, quello contenzioso dinanzi al giudice istruttore, introdotto in applicazione di un sistema di norme processuali che mutua, per contenuti e scansioni, le forme del giudizio ordinario da citazione, il tutto per un più ampio meccanismo segnato, nel passaggio tra la fase di conciliazione dei coniugi e quella contenziosa, da una progressiva formazione della vocatio in ius” (Cass. 17590/2019).

    La parte che ha formulato richiesta di addebito può rinunciarvi.

    È inammissibile la richiesta di addebito formulata per la prima volta in appello (art. 345 c. 1 c.p.c.).

  16. La prova ai fini dell’addebito

    Il coniuge che formula la richiesta di addebito deve allegare le prove a fondamento della propria domanda. Ad esempio, la moglie deve dimostrare che la crisi coniugale è imputabile all’infedeltà del marito e che il tradimento ha determinato la crisi della coppia, ossia il nesso causale (Cass. 3923/2018). I mezzi di prova utilizzabili sono testimonianze o prove documentali (fotografie, messaggi, email et cetera). La Cassazione ha ammesso che un messaggio dell’amante possa giustificare l’addebito (Cass. 5510/2017). Nondimeno, non tutti gli sms costituiscono una dimostrazione di infedeltà, ad esempio, è stato escluso il tradimento nel caso in cui il messaggino, trovato sul telefono del marito, faceva riferimento al “farsi perdonare dalla moglie”, senza null’altro specificare (Cass. 18508/2020).

    In merito ai messaggi, come email o sms, occorre analizzare il profilo della privacy. Infatti, la posta elettronica e le conversazioni presenti sui programmi di messaggistica rientrano nella nozione di corrispondenza e sono tutelate dal principio costituzionale di segretezza della corrispondenza (art. 15 Cost.) e dal reato di sottrazione di corrispondenza (art. 616 c. 1 c.p.). La giurisprudenza ritiene che tra marito e moglie, il diritto alla riservatezza sia “affievolito” in ragione della coabitazione dei coniugi. Quindi, se il computer o il telefono sono a disposizione di entrambi, può capitare che uno ne possa prendere visione anche senza autorizzazione dell’altro. Diverso è il caso in cui il coniuge sottragga il telefono all’altro. Prendere visione della corrispondenza diretta all’altro coniuge, senza il suo consenso espresso o tacito, è proibito anche tra conviventi, in virtù del citato art. 616 c. 1 c.p. Così, è stato condannato il marito che ha aperto la lettera di una società finanziaria indirizzata alla moglie, allontanatasi dalla casa coniugale a causa del pendente giudizio di separazione (Cass. Pen. 18462/2016). Oppure, costituisce reato l’attività di intercettazioni telefoniche svolta in casa da un coniuge all’insaputa dell’altro (artt. 617 e 617 bis c.p.). Infatti, è stato condannato il marito per avere abusivamente installato, in casa, uno strumento di registrazione delle conversazioni telefoniche della moglie, per dimostrare la sua presunta infedeltà (Cass. Pen. 12698/2003).

    L’indagine sulla violazione dei doveri coniugali e sul nesso causale è rimessa alla valutazione del giudice di merito, pertanto, è sindacabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione risulti viziata o contraddittoria o sia stata omessa (Cass.18074/2014).

  17. Chi paga le spese legali in caso di addebito?

    Come abbiamo visto, la domanda di addebito viene formulata nel corso del giudizio di separazione giudiziale. Si tratta di una causa vera e propria che segue le regole generali, anche in materia di spese legali. Nel nostro ordinamento vige il principio di soccombenza, ossia la parte che perde la causa (il soccombente) paga le spese legali. Quindi, il coniuge a cui è addebitata la separazione è gravato dal pagamento delle spese.

  18. Separazione con addebito: la gestione dei figli

    Per il collocamento dei figli, si usano le regole generali, che prescindono dalla dichiarazione di addebito. Infatti, un coniuge infedele può essere un ottimo genitore. Il giudice deve rispettare il principio di bigenitorialità, atteso che il figlio ha diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 337 ter c.c.). La decisione del giudice avviene nell’interesse morale e materiale della prole, l’affido condiviso va preferito come soluzione, mentre l’affido esclusivo rappresenta un’eccezione. Si ricorre a quest’ultimo solo nella circostanza in cui l’affido condiviso vada a nocumento del minore (art. 337 quater c.c.).

    Nel caso in cui l’addebito sia pronunciato per infedeltà o abbandono immotivato della casa coniugale, non vi sono riflessi sui rapporti con i figli. La giurisprudenza ha affermato che:

    “la condotta contraria ai doveri matrimoniali da parte di uno dei coniugi, a cui è addebitata la separazione, non contrasta con il collocamento del figlio presso lo stesso, dal momento che la violazione ai doveri nascenti dal matrimonio non si traduce necessariamente anche in un pregiudizio per l’interesse del figlio, non nuocendo al suo sviluppo né compromettendo il rapporto con il genitore medesimo” (Cass. 17089/2013)
    Diverso è il caso in cui l’addebito derivi da comportamenti violenti, in tale circostanza, infatti, il giudice può stabilire l’affidamento esclusivo all’altro coniuge.

    Il comportamento della moglie che abbandona la casa coniugale, porta con sé i figli e impedisce al padre di vederli, può determinare l’addebito della separazione, con l’assegnazione della casa al padre collocatario dei minori (Cass. 10719/2013).

    La dichiarazione di addebito non incide sul contributo al mantenimento della prole, che è sempre dovuto.

  19. Separazione con addebito: che cosa accade con la casa coniugale?

    Il giudice, in presenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, assegna la casa familiare al genitore collocatario della prole. L’addebito non ha alcuna influenza su tale decisione, giacché essa viene assunta nell’interesse della prole (art. 337 sexies c.c.). Pertanto:

    – se vi sono figli minorenni o figli maggiorenni non autosufficienti, la casa coniugale viene assegnata al coniuge collocatario della prole, a prescindere dall’addebito e dal titolo di proprietà dell’immobile;
    – se non ci sono figli, la casa coniugale rimane al coniuge che ne è proprietario, a prescindere dall’addebito,
    – se non ci sono figli e la casa è in comproprietà, salvo diverso accordo, i coniugi devono procedere alla divisione, a prescindere dall’addebito.

    Facciamo un esempio.

    – La separazione viene addebitata alla moglie che ha tradito il marito, la casa coniugale, di proprietà del marito,
    – spetta alla moglie in qualità di collocataria della prole, se vi sono figli, anche se le è stata addebitata la separazione;
    – spetta al marito, se non vi sono figli.

  20. Addebito e risarcimento dei danni: cenni

    I motivi posti a fondamento della richiesta di addebito possono fondare anche la domanda di risarcimento del danno. Infatti, la violazione dei doveri coniugali può costituire fonte della responsabilità extracontrattuale, in quanto incidente su beni essenziali della vita. Si parla di illecito endofamiliare, ossia illecito che si verifica all’interno della compagine familiare. La lesione dei doveri coniugali può tradursi nella violazione dei diritti fondamentali della persona da cui discende la domanda risarcitoria sia per danni patrimoniali (art. 2043 c.c.) che non patrimoniali (art. 2059 c.c.).

    Si tratta di una domanda autonoma rispetto all’addebito e non cumulabile con esso, quindi, non proponibile nel corso dello stesso giudizio. Infatti, la domanda risarcitoria e la domanda di separazione con addebito sono soggette a riti diversi (Cass. 18870/2014).

    Inoltre, la mancanza di una pronuncia di addebito non esclude la possibilità di chiedere il risarcimento, in quanto si tratta di un’azione autonoma (Cass. 18853/2011).

    Facciamo qualche esempio.

    La moglie domanda l’addebito della separazione al marito fedifrago, il quale ha perpetrato pubblicamente l’infedeltà. Le modalità con cui è stato consumato il tradimento sono tali da ledere l’onere e la dignità della consorte, la quale ha diritto al ristoro del danno (Cass. 18853/2011).
    Il marito viola il dovere di assistenza morale e materiale, facendo mancare ogni supporto alla moglie malata. Sussiste un danno ingiusto risarcibile.
    La moglie, prima del matrimonio, non informa il futuro marito della malattia che le impedisce di procreare. Oppure, il marito non informa la futura sposa di essere affetto da impotenza e, quindi, di non poter avere rapporti sessuali. In tali casi, sono violati i diritti alla sessualità e alla procreazione, pertanto, è ammesso il risarcimento del danno (Cass. 9801/2005).

Articolo ripreso interamente dal sito ALTALEX

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